Diplomarbeit, 2011
92 Seiten, Note: 1,0
1. Introduzione
2. Il multilinguismo
2.1. Il bilinguismo
2.1.1. Le definizioni di bilinguismo
2.1.2. Classificazione generale di bilinguismo
2.1.3. Le tipologie di bilinguismo
2.1.4. Conclusioni
3. La politica linguistica dell’Unione Europea
3.1. Il Piano d’azione 2004-2006: Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica
3.2. Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo 2005
3.3. Il multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune 2008
3.4. Un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione 2009
3.5. Conclusioni
4. La campagna Piccolingo
4.1. Piccolingo in azione
4.2. Conclusione
5. L’apprendimento precoce delle lingue
5.1. L’acquisizione del linguaggio in età precoce
5.2. L’apprendimento del linguaggio in età precoce
5.3. Il ruolo dell’età nell’acquisizione linguistica
5.3.1. L’approccio neurofisiologico
5.3.2. L’approccio psicologico cognitivo
5.3.3. L’approccio psicologico affettivo
5.4. I benefici del bilinguismo infantile
6. L’Educazione bilingue
6.1. I miti contro un’educazione bilingue
6.2. Educazione bilingue vs. Istruzione bilingue
6.3. I tipi di educazione bilingue
6.3.1. Il modello di sommersione
6.3.2. L’insegnamento linguistico classico
6.3.3. Il modello d’immersione
6.3.3.1. Il modello d’immersione nella scuola d’infanzia
6.3.3.2. Il modello dell’offerta interna ed esterna nella scuola d’infanzia
6.3.4. Il modello d’inserimento
6.3.5. CLIL – Content and Language Integrated Learning – Uso veicolare della lingua straniera
6.3.6. Il modello della consapevolezza linguistica
6.3.7. Il modello dell’educazione linguistica integrativo
6.4. L’educazione bilingue nella Scuola Europea
7. Conclusioni
8. Glossario
9. Bibliografia
10. Sitografia
Da sempre il linguaggio umano è caratterizzato dalla presenza di una moltitudine di lingue diverse. Questa varietà di lingue viene spesso definita come la confusione linguistica di Babele, perché impedisce la comprensione tra le persone di lingue diverse. Con l’episodio di Babele si fa riferimento a uno dei più antichi miti per descrivere l’attuale diversità linguistica. Al riguardo la Bibbia recita che “Tutta la terra parlava una sola lingua e usava le stesse parole. Venendo dall’Oriente gli uomini giunsero in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.
Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”.Ma il Signore discese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo ed hanno una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera ed ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, affinché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”[1].
La seconda metà del XX secolo segna l’inizio di un profondo cambiamento di questa situazione iniziale, che viene descritto con il termine “globalizzazione”.
Il processo di globalizzazione ha cambiato profondamente le società di tutto il mondo, i confini sono stati ammorbiditi e gli scambi economici, comunicativi, culturali e politici sono aumentati rapidamente. Questo vale soprattutto per una parte del mondo, l’Europa, sulla quale si concentrerà questo lavoro.
Il processo politico di integrazione europea ha fatto in modo che gli Stati membri dell’Unione si aprissero sempre di più gli uni verso gli altri e che aumentasse lo scambio tra di essi.
Dato che si parla delle lingue diverse nei vari Stati membri dell’Unione Europea, una partecipazione al processo di globalizzazione e di europeizzazione è spesso possibile solo avendo imparato le lingue degli altri Stati membri.
Coloro che parlano varie lingue sono in grado di interagire più facilmente con i cittadini di altri paesi, sono in grado di concludere affari economici, di collaborare scientificamente, di condurre negoziati politici, di entrare in rapporti d’amore e molto altro. Sono in grado di socializzare su diverse dimensioni transnazionali. Coloro che parlano solo la loro lingua materna sono in qualche modo legati alla loro terra d’origine e possono usufruire solo minimamente di un’Europa unita e di un mondo globalizzato.
Il multi - o monolinguismo non ha soltanto conseguenze individuali ma anche collettive.
L’aumento dello scambio economico tra i paesi europei e di conseguenza della crescita dell’Europa presuppone il multilinguismo dei suoi cittadini.
Il multilinguismo non è solo un obiettivo politico, ma anche una necessità politica in Europa. Gli Stati membri dell’Unione Europea si sono impegnati a salvaguardare la diversità linguistica e culturale nella convinzione che l’Europa potrà diventare una vera entità unita solo se questa diversità verrà mantenuta.
L’Unione Europea ha intrapreso diverse strade per conservare questa diversità linguistica ed aumentare il dialogo tra gli Stati membri.
Uno degli obiettivi più ambiziosi è che ogni cittadino europeo parli altre due lingue oltre a quella materna, iniziando l’apprendimento linguistico preferibilmente in età precoce. L’idea di introdurre una seconda lingua europea fin dall’età di tre anni si basa sulla convinzione che sia utile iniziare la formazione dei cittadini europei durante gli anni in cui si sviluppa il senso d’identità, creando una personalità europea. Oltre alle motivazioni sociali, vi sono degli aspetti neurologici, psicologici e formativi che favoriscono l’apprendimento linguistico in età infantile.
Diversamente dall’adulto, il bambino è un sistema aperto che si modella nel corso dello sviluppo sociale e affettivo.
Durante tale percorso, anche attraverso il linguaggio, acquisisce competenze che costituiscono l’insieme di conoscenze dell’individuo. Nel processo di acquisizione la lingua è un veicolo di sviluppo integrato di differenti componenti: cognitive, sociali, affettive e culturali.
Diversi studi svolti in ambito evolutivo indicano che le condizioni di bilinguismo precoce favoriscono lo sviluppo delle capacità cognitive. I bilingui dimostrano di avere maggiore capacità metalinguistica, flessibilità cognitiva, capacità di astrazione e una migliore percezione di indici concettuali[2].
Nel presente lavoro si approfondiranno i possibili percorsi implicati nell’acquisizione di due lingue, con differenze legate all’età, al contesto d’acquisizione, all’atteggiamento educativo sia della famiglia che della scuola.
Il lavoro si suddivide in tre parti.
La prima parte illustra il concetto di multilinguismo che è strettamente connesso con il bilinguismo di cui esistono vari tipi e definizioni. Si mettono in evidenza le modalità attraverso cui si sviluppano tipi di bilinguismo diversificato riferiti ai contesti d’acquisizione.
La seconda parte è costituita dalle iniziative più significative per la promozione del multilinguismo in Europa, in particolare nell’Unione Europea. Ci si concentrerà su un’iniziativa in particolare, la campagna Piccolingo, che è stata lanciata di recente, nel 2009, e riguarda l’apprendimento linguistico in età infantile e la sua importanza per lo sviluppo del bambino.
L’acquisizione contemporanea o consecutiva di più lingue può avere delle ripercussioni sul rapporto tra funzioni cognitive, lo sviluppo del linguaggio in generale, e sulle capacità comunicative e sociali in tali lingue.
E’ su questi temi che si concentra la terza parte, prendendo in esame l’apprendimento precoce.
Si rivolge un’attenzione particolare ai vantaggi del bilinguismo in termini di flessibilità e prontezza, nonché al vantaggio cognitivo posto dallo sviluppo bilingue.
Il presente lavoro si conclude illustrando alcuni modelli d’istruzione bilingue. L’efficienza di questo tipo di educazione viene sottolineata dall’esempio della Scuola Europea.
Il Glossario, l’elenco puntuale di termini utilizzati nel testo costituisce un’agile sintesi dei concetti di maggiore interesse presi in esame.
“Voglio fare tutto quanto in mio potere per far capire alla gente che potere immenso si nasconde dietro il multilinguismo” [3].
Il termine multilinguismo si riferisce sia alla capacità del singolo di usare più lingue sia alla coesistenza di differenti comunità linguistiche in una determinata area geografica. E’ un concetto ampio che copre una vasta gamma di abitudini linguistiche e misure, dal bilinguismo individuale alla diglossia[4] e alle politiche linguistiche ufficiali. Innanzitutto bisogna distinguere tra macro-multilinguismo, che si riferisce alla politica linguistica che riguarda un’entità politica, e
micro-multilinguismo che si riferisce all’interazione di lingue differenti nella vita quotidiana delle persone. Questo può anche essere inteso in termini di multilinguismo sociale e collettivo e multilinguismo individuale. Esistono società che in senso regionale, nazionale o sovranazionale funzionano con più lingue riconosciute ufficialmente con la stragrande maggioranza dei cittadini rimasti monolingue, mentre le società ufficialmente monolingue possono nascondere una vita quotidiana multilingue, come sostiene Edwards nella sua indagine completa sul multilinguismo: “While it is true that a country full of multilingual people itself multilingual in an obvious sense, it may nevertheless recognise only one or two varieties and thus, in another sense, be something less than multilingual. Conversely, a country may be officially bilingual or multilingual and yet most of its citizens may have only a single-language competence” [5].
Spesso si trova il concetto di multilinguismo sostituito con il termine plurilinguismo. Il Quadro comune europeo di riferimento nel contesto politico e educativo chiarisce che ”il plurilinguismo non coincide con il multilinguismo, che consiste nella conoscenza di un certo numero di lingue o nella coesistenza di diverse lingue in una determinata società.
Si può realizzare il multilinguismo semplicemente diversificando l’offerta linguistica in una scuola o in un sistema scolastico, o incoraggiando gli allievi a studiare più di una lingua straniera, oppure riducendo la posizione dominante dell’inglese nella comunicazione internazionale. Oltre a ciò, l’approccio plurilingue mette l’accento sull’integrazione: cioè man mano che l’esperienza linguistica di un individuo si estende dal linguaggio domestico del suo contesto culturale a quello più ampio della società e poi alle lingue di altri popoli, queste lingue e queste culture non vengono classificate in compartimenti mentali rigidamente separati; anzi, conoscenze ed esperienze linguistiche contribuiscono a formare la competenza comunicativa, in cui le lingue stabiliscono rapporti reciproci e interagiscono” [6].
Lo sviluppo del multilinguismo non è semplicemente una necessità funzionale: è anche una componente essenziale del comportamento democratico. Il riconoscimento della diversità dei repertori multilingui dei parlanti dovrebbe servire a giustificare le differenze linguistiche: il rispetto per i diritti linguistici di individui e gruppi nei loro rapporti con lo Stato, il rispetto per le minoranze linguistiche, il rispetto per la diversità linguistica nella comunicazione locale, regionale ed internazionale. Il multilinguismo, concepito come un valore, può essere alla base di un insegnamento multilingue, ma può avere come scopo anche una consapevolezza multiculturale.
Il multilinguismo offre enormi vantaggi per individui, scuole, società, regioni, nazioni e continenti in termini di sviluppo intellettuale, culturale, scientifico, tecnologico, produttivo e occupazionale. Il raggiungimento del multilinguismo è tanto un processo socio-psicologico quanto un processo linguistico o metodologico.
Qualsiasi realtà multilingue dimostra un intreccio fra multilinguismo e bilinguismo.
Per via della globalizzazione mondiale molte persone sono oggi bilingui o multilingui. Il bilinguismo è un fenomeno complesso, e la ricerca non è ancora giunta ad una descrizione unica e soddisfacente dei meccanismi di più lingue nella mente dello stesso individuo. In passato erano numerosi gli studiosi che ritenevano che il bilinguismo potesse penalizzare l’individuo nel suo sviluppo cognitivo. Questa concezione è oggi superata e il bilinguismo viene considerato piuttosto come una fonte di ricchezza, perché la padronanza di due o più lingue amplia le frontiere e il modo di vedere il mondo.
Il pedagogista Rudolf Steiner disse in merito che “ogni lingua dice il mondo a modo suo. Ciascuno edifica mondi e anti-mondi a modo suo. Il poliglotta è un uomo libero”[7].
In generale il termine bilinguismo definisce la capacità di un individuo di comunicare in più di una lingua ed è un fenomeno in movimento perché muta e si modifica nel tempo.
L’individuo bilingue, a differenza della persona che impara consapevolmente un’altra lingua, viene esposto in maniera simultanea o consecutiva[8] a sistemi linguistici complessi che riguardano la sfera sociale, linguistica, cognitiva ed emotiva. E’ un individuo che possiede capacità verbali e comunicative nelle due lingue, cioè colui che è capace, a diversi livelli, di capire, parlare, leggere e ascoltare nelle due lingue.
Nella letteratura scientifica si trova spesso una differenziazione tra bilinguismo e bilingualità. L’ultimo termine è inteso come complesso stato psicologico dell’individuo che ha accesso a un insieme di competenze che sono più complesse del suo codice linguistico. Riguarda una dimensione individuale soggettiva della persona che è consapevole di possedere aspetti di sistemi linguistici e culturali a volte anche molto diversi tra loro.
La personalità bilingue non conosce semplicemente più lingue in maniera additiva, ma le chiama tutte a far parte del proprio processo di concettualizzazione, della propria visione del mondo, avendole sempre presenti nella propria mente, anche se ne usa o l’una o l’altra a seconda dei contesti comunicativi in cui si trova.
Il concetto di bilinguismo invece si riferisce alla dimensione societaria, di conoscenze verbali e non verbali condivise all’interno di una medesima comunità linguistica.
Le accezioni del termine bilinguismo possono essere sfumate da un approccio sociolinguistico, psicolinguistico o pedagogico. La varietà di definizioni fa emergere alcune problematiche. Da una parte c’è l’impossibilità di definire il grado di perfezione a cui un buon parlante diviene bilingue anche perché non tutti i parlanti nativi sono egualmente sensibili e non tutti posseggono la medesima ricchezza di vocabolario o la medesima versatilità nella scelta delle strutture grammaticali. Dall’altra parte l’assoluta parità nel dominio di due lingue è assai rara. Una lingua sarà sempre più importante dell’altra.[9]
Di seguito vengono riportate le definizioni più ricorrenti del bilinguismo.
Secondo Brooks “il bilinguismo consiste nella capacità da parte di un individuo di esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente ai concetti e alle strutture che di tale lingua sono propri, anziché parafrasando la lingua nativa”[10].
Il bilingue si trova in un simultaneo controllo di due sistemi linguistici.
“The practice of alternately using two languages will be called bilingualism, and the persons involved, bilingual”[11].
Bloomfield vede nel bilinguismo il possesso di due lingue alla maniera del parlante nativo, “the native-like control of two languages [12].
Mackey propone di non generalizzare il concetto che vede nel bilinguismo semplicemente l’eguale dominio di due lingue, ma di analizzare i vari aspetti del fenomeno[13].Il bilinguismo deve essere quindi considerato come un concetto non assoluto ma relativo. Mackey conclude dicendo che “Il bilinguismo è un tema complesso, che richiede un sistema di classificazione e di teorizzazione il quale dia una direzione alla ricerca e renda possibile l’integrazione dei risultati.
Dopo che tali requisiti saranno stati assolti, il bilinguismo può essere studiato come ramo distinto della linguistica”[14].
Mackey[15] suggerisce inoltre che una descrizione del bilinguismo deve prendere in considerazione le seguenti quattro caratteristiche: il grado, la funzione, l’alternanza e l’interferenza.
Il grado di bilinguismo si riferisce alla competenza. La domanda da porsi è quanto l’individuo padroneggia ciascuna delle lingue.
La funzione si concentra sugli usi che fa il parlante bilingue delle diverse lingue ed il ruolo che ciascuna lingua ha nel repertorio linguistico dell’individuo.
L’alternanza si riferisce alla frequenza con cui l’individuo bilingue alterna tra le lingue.
L’interferenza si riferisce alla capacità dell’individuo di mantenere le lingue separate o di mescolarle.
Mackey elenca anche una serie di fattori quali l’età, il sesso, l’intelligenza, la memoria, l’atteggiamento linguistico e la motivazione che possono influenzare lo sviluppo bilingue.
Mackey[16] afferma che il bilinguismo non è relativo alla lingua come sistema o codice (langue), ma appartiene al dominio dell’uso, al messaggio (parole). Il bilinguismo è un aspetto soggettivo, individuale del parlante, di conseguenza descrivere e misurare le caratteristiche del bilinguismo implica un’osservazione e un’analisi del comportamento bilingue.
Non esiste un concetto unitario per descrivere il bilinguismo. Si distinguono quattro categorie di definizioni, che dipendono dal criterio scelto per descrivere il fenomeno e dalla disciplina scientifica che se ne occupa.
La linguistica esamina il fenomeno del bilinguismo sotto l’aspetto della competenza linguistica dell’individuo bilingue. La psicolinguistica pone l’accento sull’origine del bilinguismo, cioè l’ambiente in cui viene acquisito o appreso il bilinguismo. La sociologia si interessa alla funzione a cui assolve l’uso di una lingua o di un’altra, quindi l’uso alterno di tali lingue.
La psicologia sociale e ancora una volta la sociologia si occupano degli atteggiamenti e dell’identificazione degli individui bilingui e delle altre persone rispetto al loro ambiente e alle rispettive lingue[17].
Skutnabb - Kangas propone la seguente classificazione del bilinguismo in quattro categorie.
1. Le definizioni secondo il criterio della competenza
Queste definizioni prendono spunto dalla ricerca precoce sul bilinguismo e tentano di fornire una descrizione grammaticale - qualitativa attraverso i due codici dell’individuo bilingue.
Secondo questo criterio le definizioni o sono troppo ristrette e nessuno corrisponde alle caratteristiche necessarie per essere classificato come bilingue o sono troppo ampie e qualsiasi individuo che sa malapena qualche parola straniera diventa bilingue.
La classica definizione di bilinguismo secondo il criterio della competenza è di Bloomfield, citato sopra.
Lo svantaggio di questo criterio è che considera soltanto le abilità nella lingua seconda, presupponendo la piena padronanza della lingua prima.
Non si presuppone solamente una competenza linguistica dato che la lingua è un fenomeno sociale. Le definizioni più recenti includono l’aspetto sociale della lingua e si riferiscono ad una competenza comunicativa, che include sia una competenza linguistica-grammaticale sia la capacità di usare la lingua secondo le norme sociali e le situazioni comunicative. Così si arriva alla definizione di bilinguismo come la capacità di poter usare due o più lingue in contesti diversi e con modalità diverse.
2. Le definizioni secondo il criterio dell’origine
Secondo Skutnabb - Kangas è bilingue chi ha imparato le due lingue come lingue materne in famiglia e le ha usate sin dall’inizio come mezzo di comunicazione. Si tratta dell’apprendimento naturale in un ambiente sociale bilingue[18].
3. Le definizioni secondo il criterio della funzione
Il criterio della funzione è stato introdotto anche grazie a Mackey che chiedeva di vedere il bilinguismo non come fenomeno della lingua, ma come quello del suo uso. “Bilingualism is not a phenomenon of language; it is a characteristics of its use. It is not a feature of the code but one of the message”[19].
Questo spiega l’interesse sociolinguistico per il bilinguismo visto che la sociolinguistica studia l’uso della lingua nella società.
Weinreich definisce il bilinguismo come “pratica di alternare due lingue nell’uso quotidiano”[20].
Mackey dà una simile definizione dicendo che il bilinguismo è “the alternate use of two or more languages by the same individual”[21].
Per Oksaar invece un individuo bilingue è “who in most situations can freely use two languages as means of communication and switch from one language to the other if necessary”[22].
4. Le definizioni secondo il criterio degli atteggiamenti e dell’identità
Sono importanti due aspetti: da una parte l’individuo bilingue si identifica con le sue lingue e le rispettive culture (identificazione interna), dall’altra è importante come il bilinguismo dell’individuo viene accettato dai parlanti di ciascuna lingua della comunità in cui vive (identificazione esterna).
Malmberg definisce l’individuo bilingue come “one who must not stand out from his environment when using the other language, i.e. he must be accepted as a native speaker” e aggiunge che l’individuo deve essere capace “to act in both language groups without any disturbing deviance being noticed”[23].
Skutnabb-Kangas definisce l’individuo bilingue come qualcuno che è in grado di agire usando le due lingue sia in una società monolingue che bilingue e che lo fa “in accordance with the socio-cultural demands made of an individual’s communicative and cognitive competence by these communities or by the individual herself, at the same level as native speakers”[24].
Nell’ambito della ricerca sul multilinguismo si distingue fra bilinguismo individuale e collettivo, di cui quest’ultimo è una conseguenza dell’emigrazione, degli affari commerciali o delle espansioni militari. Inoltre si distingue fra bilinguismo personale, riferito ad un parlante, e non personale, non riferito ad un parlante[25]. Il bilinguismo personale si riferisce a tutte le forme di bilinguismo attivo, praticato dagli individui quotidianamente. Il bilinguismo non personale si riferisce al bilinguismo ufficiale di uno Stato, nel quale però non tutti gli individui devono necessariamente essere bilingui.
Veresčagin[26] distingue tra tre forme di bilinguismo.
1. Bilinguismo individuale
2. Bilinguismo di gruppo
3. Bilinguismo di massa
Il bilinguismo di gruppo si riferisce ad un gruppo piccolo come la famiglia, i colleghi di lavoro, i vicini. Il bilinguismo di massa invece si riferisce a tutti gli appartenenti ad una comunità etnica come un popolo o una nazione.
Una simile distinzione viene proposta da Kloss[27] che parla di “individual bilingualism” e “group bilingualism”. Inoltre distingue tra bilinguismo personale, riferito a persone, e bilinguismo impersonale, riferito alle istituzioni.
Sia il bilinguismo individuale che quello di gruppo fanno parte della categoria bilinguismo personale. La categoria impersonale include il bilinguismo in uno Stato con due lingue ufficiali e Kloss lo definisce“governmental bilingualism” con le sottocategorie “national, regional, local bilingualism” e “associational bilingualism”[28].
La differenzazione concettuale-terminologica del bilinguismo secondo Kloss[29]
Haarmann[30] propone una classificazione, che comprende in parte elementi delle classificazioni di bilinguismo di Veresčagin e Kloss.
1. Bilinguismo individuale (bilinguismo dell’individuo)
2. Bilinguismo di gruppo (bilinguismo di gruppi di parlanti)
3. Bilinguismo sociale (bilinguismo della società, di gruppi etnici in una società plurilingue)
4. Bilinguismo statale (bilinguismo nell’amministrazione, nell’organizzazione di uno Stato)
5. Bilinguismo soprastatale (bilinguismo delle organizzazioni sopranazionali come UE, UNESCO)
Ogni definizione riferita al bilinguismo può essere collocata su un continuum tra sistemi linguistici coordinati, che sono dei sistemi che sono completamente indipendenti l’uno dall’altro, e sistemi linguistici compositi, che dipendono uno dall’altro.
Weinreich[31] è stato il primo a definire dei tipi di bilinguismo, riferendosi al modo in cui i concetti di una lingua sono codificati nel cervello dell’individuo: in modo coordinato, composto e sub-coordinato. Si presumeva che queste differenze derivano dal modo in cui le lingue erano state apprese.
Nel bilinguismo coordinato, l’individuo impara le lingue in ambienti separati e le parole delle due lingue sono tenute separate, avendo ogni parola il suo significato specifico. Un esempio di questo tipo di bilinguismo è una persona con l’inglese come lingua materna che impara il francese a scuola. Dato che le due lingue sono state associate a contesti diversi, si è pensato che si sarebbero sviluppate e mantenute dei sistemi concettuali diversi. Ciò significa che il termine francese livre ha il suo significato e il termine inglese book ha il suo significato.
Nel bilinguismo composto l’individuo impara le due lingue nello stesso contesto, in cui le due lingue vengono usate contemporaneamente, in modo che ci sia una rappresentazione fusa delle due lingue nel cervello. Così, un bambino, che ha acquisito il francese ed il tedesco simultaneamente, conosce le parole livre e Buch, ma attribuisce loro un significato comune. Le due parole sono legate alla stessa rappresentazione mentale. Un concetto unico si collega a due differenti concetti verbali.
Per il bilingue composto, le lingue sono interdipendenti, mentre per il bilingue coordinato sono indipendenti.
Weinreich distingue anche un terzo tipo di bilinguismo, che appartiene al bilinguismo coordinato.
Nel bilinguismo sub-coordinato l’individuo interpreta le parole della lingua meno usata attraverso le parole della lingua dominante.
Secondo Weinreich il bilingue composto dispone di un insieme di significati e di due sistemi linguistici legati ad essi. Il bilingue coordinato dispone di due significati distinti e di due sistemi linguistici. Il bilingue sub-coordinato dispone di significati primari stabiliti attraverso la sua lingua materna, e un altro sistema linguistico ad essi connesso.
La seguente figura illustra come il concetto libro può essere associato in modo diverso con la rappresentazione fonetica del concetto in un bilingue francese-inglese.
Più tardi Ervin & Osgood[32] hanno unito i due tipi di bilinguismo coordinato e si sono concentrati sul contesto in cui sono state apprese le lingue e come sono utilizzate. La loro teoria riguarda soprattutto l’aspetto semantico del linguaggio. Nel primo caso, nel bilinguismo coordinato, l’individuo possiede due strutture linguistiche apprese in modo indipendente l’una dall’altra, che gli permettono di controllarle in modo distinto.
Il bilingue è in grado di accedere liberamente ai due schemi linguistici e può quindi scegliere, valutare e attuare le strategie comunicative a suo parere più adeguate.
Sono composti quei bilingui che attribuiscono due sistemi di segni linguistici a un solo sistema di significati. L’individuo tende a ricondurre i due diversi schemi linguistici alla stessa funzione di significato.
Si ritiene che tale corrispondenza sia il risultato dell’apprendimento di una seconda lingua tramite la scuola, la traduzione o altro.
I due poli, sistema coordinato e sistema composto, racchiudono una linea continua, articolabile in una gamma pressoché infinita di gradi, che va da un minimo di bilinguismo ad un autentico equilinguismo.
Secondo il contesto,Lambert[33] distingue due forme di bilinguismo: il bilinguismo additivo ed il bilinguismo sottrattivo.
Il bilinguismo additivo sottolinea gli effetti positivi del bilinguismo. In questo caso sia la lingua prima che la lingua seconda possiedono un elevato prestigio sociale. Il bilinguismo additivo offre potenzialità di sviluppo sociale e porta elementi positivi complementari per lo sviluppo globale dell’individuo.
Al contrario, il bilinguismo sottrattivo rende visibili gli effetti affettivi e cognitivi negativi. Se una lingua viene sostituita con un’altra lingua dominante[34], si ha il fenomeno del bilinguismo sottrattivo che non offre risorse aggiunte, ma pone l’individuo in condizioni di svantaggio dato che le due lingue sono in concorrenza e non complementari. Entrambi i concetti si riferiscono al ruolo che entrambe le lingue possono avere nel contesto sociale e sono legati quindi più al campo affettivo e sociale che allo sviluppo cognitivo.
Mackey[35] parla del fenomeno del prestito come di una forma del bilinguismo e distingue due fasi. Nella prima fase il prestito di elementi di una lingua ad un’altra comporta delle interferenze, che sono quei momenti di deviazione dalle norme di una delle due lingue, che si verificano nei soggetti bilingui come risultato della loro familiarità con più di una lingua.
Nella seconda fase si verifica l’integrazione. Quest’ultima distinzione non riguarda il livello individuale visto che si tratta dell’acquisizione normativa e dell’accettazione di peculiarità linguistiche di lingue diverse.
Il bilinguismo può essere visto anche sotto un’altra ottica, quella della competenza dell’individuo bilingue. In questo caso si parla di bilingue bilanciato, in quanto possiede comparabili livelli di competenza in entrambe le lingue; il bilingue asimmetrico invece possiede livelli di competenza nelle due lingue piuttosto diversificati; infine il bilingue ricettivo è capace di ascoltare e leggere con buoni livelli di comprensione delle due lingue, senza possedere abilità di produzione orale o scritta[36].
Riguardo all’acquisizione del bilinguismo nell’infanzia, Romaine[37] ha proposto sei possibili categorie.
1. una persona, una lingua: ciascun genitore parla nella propria lingua madre, di cui una è la lingua dominante della comunità
2. una lingua, un ambiente: i genitori hanno lingue materne diverse, di cui una è la stessa della comunità; entrambi i genitori parlano nella lingua non dominante; il bambino viene esposto alla lingua dominante fuori casa
3. lingua non dominante in casa senza supporto dalla comunità: ciascun genitore parla in una lingua diversa da quella dominante nella comunità
4. genitori non nativi: sebbene i genitori abbiano la lingua materna in comune tra loro e con la comunità, un genitore parla in una lingua diversa
5. lingue miste: i genitori sono bilingui e scambiano e mescolano le due lingue
L’appartenenza a una di queste categorie è determinata da diversi fattori, quali la storia personale dell’individuo, il contesto d’acquisizione delle lingue, il tempo di esposizione alle lingue e l’età d’acquisizione delle lingue.
Riguardo all’età gli scienziati parlano di un periodo critico oltre il quale sarebbe difficile raggiungere gli stessi livelli di padronanza della lingua seconda rispetto alla lingua prima[38].
Sembra che la soglia critica per l’apprendimento di una seconda lingua sia intorno ai sette anni. Fabbro[39] ha dimostrato che si attivano aree corticali diverse a seconda che la lingua seconda sia acquisita prima (precoce) o dopo (tardivo) tale età. Su questo aspetto si ritornerà nel capitolo successivo.
Al termine di queste considerazioni si può notare che il bilinguismo è un fenomeno assai complesso. Vi convergono svariati fattori e aspetti non sempre chiaramente percettibili, di natura sia individuale che sociale. Alla base degli studi attuali sul bilinguismo sta soprattutto la psicolinguistica che ha cercato di articolare più dettagliatamente i molteplici aspetti del fenomeno stesso nell’intento di descrivere e misurare con precisione i tratti che lo compongono per arrivare ad una interpretazione più profonda e soddisfacente con l’ausilio di tutte le scienze interessate all’esplorazione del linguaggio.
Basandosi sui dati delle ricerche si può concludere che il bilinguismo comporta non solo il dominio strumentale di due codici linguistici, ma il possesso altamente personalizzato di due sistemi di pensiero e quindi di due culture. Da qui si può dedurre che il bilinguismo è anche un biculturalismo. In questo senso, il bilinguismo contribuisce ad arricchire, invece che ostacolare, lo sviluppo della personalità dell’individuo. La facilità d’uso verbale in entrambi i codici linguistici è condizionata da una serie di fattori endogeni, come la plasticità neurologica dell’individuo, dalla sua attitudine linguistica in generale e dall’età. Anche le modalità esterne, sociali, culturali, educative, che possono stimolare oppure ostacolare lo sviluppo del bilinguismo individuale, non sono da trascurare.
Due fenomeni caratteristici dell’individuo bilingue sono il cambiamento di codice - code switching, in cui il parlante passa da una lingua all’altra, e la mescolanza dei due codici - code mixing, in cui il parlante mescola elementi dei due sistemi linguistici. Questi fenomeni sono strategie di comunicazione e di apprendimento assolutamente normali e comprensibili negli individui bilingui.
Nella definizione di persona bilingue è preferibile non porsi troppe restrizioni, quale la competenza simile a quella del parlante nativo né parlare di bilinguismo vero o falso. E’ importante riconoscere una gradualità nelle capacità di una persona di esprimersi in una, due o più lingue.
L’espressione politica linguistica è da intendere come una serie di decisioni che comporta azioni dirette o esplicite aventi come scopo quello di influenzare i comportamenti delle persone per quanto riguarda l’acquisizione, la struttura e la ripartizione funzionale dei loro codici linguistici.
La politica linguistica si può quindi definire come l’insieme dei presupposti ideologici e politici, individuabili sia nel diritto primario (i Trattati) che derivato (gli atti normativi, in particolare i Regolamenti) europeo, alla base di determinate decisioni realmente attuate in materia di multilinguismo istituzionale e societario. Il multilinguismo istituzionale riguarda l’insieme di norme che regolano il regime linguistico all’interno delle istituzioni politiche europee.
Il multilinguismo societario invece si suddivide in misure di intervento che riguardano da una parte la promozione dell’apprendimento linguistico e dall’altra la tutela delle minoranze storiche sul territorio dell’Unione Europea.
Il multilinguismo è uno dei principi fondamentali dell’Unione sin dall’inizio del processo di integrazione, in quanto la coesistenza armoniosa di molte lingue in Europa è un simbolo forte dell’aspirazione dell’Unione Europea ad essere unita nella diversità.
Il commissario per il multilinguismo Leonard Orban ha detto che “la capacità di comunicare in varie lingue costituisce un grande vantaggio per le persone, le organizzazioni e le imprese. Promuove la creatività, rompe gli stereotipi culturali, incoraggia le idee originali e può aiutare a sviluppare prodotti e servizi innovativi [40].
Tra i principi su cui si fonda l’Unione Europea vi è anche quello che sancisce il multilinguismo all’interno delle sue istituzioni e sul territorio degli Stati membri.
Wagner, Bech e Martinez[41] propongono una definizione che rispecchia i principi ideologici volti a salvaguardare il multilinguismo dicendo che “in the context of the European Union, the word “multilingual” has taken on a meaning that goes beyond its dictionary definition of “speaking or using many languages” or “written or printed in many languages”. For us, multilingualism is a fundamental principle with the additional meaning of equal rights for all official languages”.
Le ragioni dell’ampio multilinguismo comunitario sono complesse e si articolano a vari livelli: giuridico, politico, economico e culturale.
A livello giuridico esiste la necessità che i cittadini dispongano delle leggi comunitarie espresse nella loro lingua materna per consentirne una chiara lettura e una perfetta comprensione. A livello politico viene assicurata a tutti i cittadini europei la parità di accesso alle politiche e alla legislazione dell’Unione Europea, tramite la possibilità di rivolgersi alla medesima e alle sue istituzioni nella propria lingua materna. Inoltre, in virtù del “diritto di cittadinanza europea” proclamato a Maastricht nel 1992, tutti i cittadini dell’Unione Europea posseggono il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni europee e possono quindi esercitare il proprio mandato indipendentemente dalle conoscenze linguistiche. Da un punto di vista economico il multilinguismo ha un costo, il quale dipende dal valore soggettivo che gli viene attribuito. A livello culturale, infine, è riconosciuto che la diversità linguistica è una ricchezza per l’Unione; lo dimostrano le numerose azioni intraprese dalla stessa allo scopo di promuovere l’apprendimento e l’uso di tutte le lingue europee.
Grin[42] sostiene che la diversità linguistica contribuisce allo sviluppo della qualità della vita di tutti i cittadini.
L’Unione Europea svolge un ruolo importante nel campo della politica linguistica, dal momento che le lingue sono state inserite nella sua agenda fin dalla sua fondazione negli anni Cinquanta.
Il primo regolamento adottato dal Consiglio della Comunità Economica Europea (15 aprile 1958) ha confermato l’uguaglianza delle lingue ufficiali degli Stati membri e il loro status di lingue ufficiali di lavoro delle istituzioni europee. Dopo il trattato di Maastricht[43] nel 1992 la promozione dell’apprendimento delle lingue e del multilinguismo individuale, con l’accento sulla diversità linguistica, è diventata una pietra angolare della politica educativa dell’Unione Europea. La politica linguistica dell’Unione mira a tutelare la diversità linguistica e promuovere la conoscenza delle lingue, non solo in nome dell’identità culturale e dell’integrazione sociale, ma anche perché chi conosce più lingue può facilmente cogliere le opportunità formative, lavorative ed economiche offerte da un’Europa integrata.
La sua azione è diventata particolarmente operativa con la proposta contenuta nel Libro bianco del 1995 sull’istruzione e sulla formazione[44], il cui obiettivo generale è la promozione della conoscenza di tre lingue comunitarie da parte dei cittadini europei. In questo documento il multilinguismo viene definito come una caratteristica della cittadinanza europea, un elemento di identità e la condizione essenziale per l’appartenenza alla società.
Nel 2001 è stato festeggiato per la prima volta l’anno europeo delle lingue che ha avuto come scopo la celebrazione della diversità linguistica in Europa.
Inoltre ha voluto informare il grande pubblico dei vantaggi di avere delle competenze in diverse lingue e promuovere l’insegnamento delle lingue.
Visto il grande successo, è stata stabilita la giornata europea delle lingue, ogni 26 settembre.
Durante il Consiglio europeo il 15 e 16 marzo 2002 a Barcellona è stato fatto un ulteriore passo avanti per la promozione del multilinguismo.
Gli obiettivi fissati sono:
1. il miglioramento della padronanza delle competenze di base, segnatamente mediante l'insegnamento di almeno due lingue straniere sin dall'infanzia;
2. la fissazione di un indicatore di competenza linguistica;
3. lo sviluppo dell'alfabetizzazione digitale.
L’indicatore di competenza linguistica riguarda il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER) e il Portfolio Europeo delle Lingue (PEL).
Il Quadro comune europeo permette di confrontare i diversi programmi di studio offrendo dei livelli di riferimento comuni a tutte le lingue per definire le competenze linguistiche in modo omogeneo. Questa diversificazione fornisce la base per i differenti percorsi di apprendimento multilingue. I livelli comuni di riferimento del QCER permettono di descrivere le competenze degli apprendenti nelle diverse fasi del processo di apprendimento e consentono un approccio auto-valutativo e meta cognitivo all’apprendimento linguistico.
Il PEL è stato progettato come uno strumento per supportare il multilinguismo ed il multiculturalismo e ha due obiettivi principali. Da una parte vuole motivare gli apprendenti riconoscendo i loro sforzi per estendere e diversificare le competenze linguistiche, dall’altra fornisce un contenitore per le competenze linguistiche e culturali acquisite.
L’Unione Europea non può, per via del principio di sussidiarietà, sostituirsi agli Stati membri riguardo alla politica linguistica, ma può dare a loro gli orientamenti politici necessari per raggiungere gli obiettivi posti.
E’ per questo che la Commissione promuove il multilinguismo attraverso numerose politiche e programmi, dando un impulso agli Stati membri, alle autorità locali e alle parti sociali affinché intervengano al loro rispettivo livello.
L’apprendimento delle lingue straniere non è più semplicemente considerato come beneficio per il singolo cittadino, ma come di particolare importanza per raggiungere l’obiettivo di crescita economica e coesione sociale fissato nella strategia di Lisbona.
Nel 2003 la Commissione Europea ha adottato il Piano d’azione per la promozione dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica in risposta all’invito del Consiglio “Istruzione” di formulare proposte in proposito.
Il Piano è un corposo documento che viene introdotto da una citazione della “Dichiarazione di Laeken”. “L’Europa è in procinto di diventare, senza spargimento di sangue, una grande famiglia; si tratta di un vero cambiamento […] che implica il rispetto per le lingue, la cultura e le tradizioni altrui”[45].
Questo testo identifica una vasta area in cui gli Stati membri possono prendere provvedimenti, sia nelle scuole che nella società in generale.
Il documento si suddivide in due parti principali: la prima parte illustra il contesto e i principali obiettivi strategici da perseguire, la seconda parte formula proposte concrete per ottenere miglioramenti tangibili a breve termine, nel triennio 2004-2006, e stabilisce i finanziamenti azione per azione.
Il Piano d’azione definisce gli obiettivi principali da perseguire in tre grandi settori:
1. l’apprendimento delle lingue per tutta la vita;
2. il miglioramento dell’insegnamento delle lingue;
3. la creazione di un ambiente favorevole alle lingue.
Il primo obiettivo è di particolare importanza dato che l’Unione Europea individua i processi di apprendimento delle lingue come uno dei momenti centrali per l’integrazione, in un’ottica di plurilinguismo e pluriculturalismo. L’obiettivo fissato nel 1995 nel Libro Bianco è stato reinterpretato come lingua materna più altre due lingue[46], che è diventato una sorta di slogan, con un alto valore comunicativo, che ha aumentato la consapevolezza per la necessità di diversificare sia l’insegnamento che l’apprendimento delle lingue straniere.
Per raggiungere questo scopo, l’apprendimento linguistico fin dalla scuola materna e primaria è una priorità per tutti gli Stati membri, in quanto proprio per il suo essere precoce, getta le basi per il successivo studio delle lingue.
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